fbpx

Gustorie

La Sicilia va gustata. E raccontata.

🤍Pare che le tre gambe di Trinacria rappresentino i tre promontori siciliani, Peloro, Lilibeo e Capo Passero.

A pudìca copertura di un fantasmagorico sistema genitale (cosa riservano tre ìnguini?), c’è la testa di una Gòrgone, non sappiamo quale delle tre.
🔎 Eppure sarebbe interessante conoscere se a rappresentare la Sicilia sia Medusa, simbolo della perversione intellettuale, Euriale, la perversione sessuale, o Steno, mitologica allegoria della degenerazione morale.
Pur non amando gli eccessi – tale è qualsiasi perversione – quelle che temiamo meno sono le prime due. Pazienza se la Sicilia è incarnata da Medusa: una buona dose di vivacità intellettuale, sia pur debordante, non guasta. Dei vizi di Euriale (“a tavola e a letto non c’è rispetto”) potremmo anche goderne.
Ma Se la Gòrgone che raffigura la Sicilia fosse Steno, mostruoso mito della perversione morale, sarebbe abbastanza disdicevole sventolare un vessillo con una metafora cosi impresentabile.
La Regione Siciliana merita di essere ben rappresentata.

🤍 È un alimento di natura celeste, capace di guarire i malati, di essere medicina per gli occhi, di sfamare un intero popolo e, in virtù della sua provenienza sovrannaturale, di non produrre rifiuti corporei.
Piove dal cielo e sgorga dalla tomba di San Nicola, a beneficio dei fedeli baresi per un uso di speranza e salute. Non sapremo mai se la manna biblica è metafora della pioggia capace di rendere fertile la terra da cui trarre “il nostro pane quotidiano”, o se è divina secrezione.
🔐 Ma esiste anche una manna terrena: è la resina del frassino, albero da secoli coltivato nelle Madonie.
La manna è raccolta dagli ‘ntaccaluori, anziani contadini di Castelbuono o di Pollina, paesi in provincia di Palermo: dalle incisioni praticate sulla corteccia dei frassini scende la manna, una sostanza che si solidifica formando preziose stalattiti, raccolte e vendute alle industrie dolciarie, cosmetiche e farmacologiche.
💰 Solo la manna eletta (quella che scende dall’alto senza toccare la corteccia dell’albero) ha valore, circa 2.000 euro al chilo!
Eletta, come il Popolo che la ricevette in dono. 🎁

Sai cosa sono i “lavureddi”?
🔐 Tutto il ciclo del grano, dalla semina alla mietitura, in siciliano si dice lavuru, lavoro per
antonomasia.
E i lavureddi sono semi di grano lasciati germogliare su uno strato di ovatta bagnata.
📍 Vengono offerti a Pasqua in devozione, a ornare gli altari del Cristo morto e poi risorto. Profondi e imperscrutabili i nessi tra lavoro, grano e religione: frumento che diventa ostia e quindi corpo di cristo: guai a masticarlo. Pane segnato da croci propiziatorie, terra arata al ritmo di preghiere sempre uguali.
E la più famosa delle suppliche che invoca il Padre affinché ci dia il nostro pane quotidiano. Mica la carne o il pesce.
No, il pane. Se la fede ha un sapore, è facile
immaginare quale. ❤️


C’è un’isola, in Sicilia, in cui le donne volano. O meglio volavano.
Se chiedete ai vecchi di Alicudi, isoletta delle Eolie, vi diranno che hanno visto le loro
donne volare.
Tutti pazzi? No. Loro raccontano ciò che hanno veramente visto.
E solo da poco s’è capito il perché. E’ una storia di corna, ma non quelle che pensate
voi.
👉🏼 Ad Alicudi si coltivava la segale e con la segale si faceva il pane. Solo che a un certo
punto un fungo ha infettato il cereale, su cui si formavano delle piccole corna
contenente un alcaloide in grado di provocare allucinazioni.
Ad Alicudi, nota anche come Isola delle donne che volano, quindi, era la segale
cornuta che provocava allucinazioni di massa.
Dietro tante storie di guerra, di magia, di religione, c’è sempre lui, il pane.

Anche in un matrimonio fallito possono esserci momenti di gioia pura.

Io aspetto con ansia che lui esca per portarmi a letto il mio sogno proibito.
Il valore aggiunto di un piacere già di per sè appagante è l’assenza di mio marito, la certezza che se lui sapesse cosa sto facendo tra le lenzuola, ci resterebbe male.

Dovesse chiedermi: -Perchè proprio nel nostro letto?-, gli risponderei -Per dispetto, proprio perchè tu non riesci a farmi godere così. E perchè so che non sopporti trovare tra le coperte il suo odore, i suoi resti biologici. Sono loro che danno la misura della tua impotenza.- Misura? Meglio non parlare di misure.

Si caro, va’ pure in ufficio, uscendo dammi anche il bacino tipo mulino bianco, convinto che mi attenda una mattinata da desperate housewife.

Disperata io? Ma non ci pensare nemmeno. Tu vai a lavorare, che so io cosa fare: ti do il tempo di girare l’angolo e gli telefono. Arriva in 10 minuti appena, sempre disponibile, lui…

Hanno ragione i Napoletani: la vita è una brioche … E se poi quella brioche la inzuppi in una granita di caffè sovrastata dalla monumentale panna messinese che solo Litterio sa fare…

Ovviamente il tutto mangiato a letto, sola, nessuno tra i piedi.

Le briciole? Te le lascio fra le lenzuola, amore mio, quale memento della mia insoddisfazione e del ritrovato (altrove) piacere.

E la prossima volta che ti azzardi a dire che sto ingrassando, oltre alla granita di caffè con panna, mi faccio anche il ragazzo che me la porta: è carino e mi guarda strano … 

COGLIERE L'ESSENZA

L’uovo ha una forma perfetta nonostante sia fatto col culo.

Bruno Munari, designer.

RICETTA, RECIPERE, PRENDERE

Sicilia terra di emigranti? Vero, ma fino a un certo punto. Nei ventimila anni prima che nascesse Cristo la Sicilia ha accolto Elimi, Siculi e Sicani. Poi Greci, Arabi e Spagnoli, Francesi e Normanni. Gli apporti gastronomici di tutti questi passaggi costituiscono la più grande ricetta mai composta. La cucina siciliana che conosciamo oggi, ne è la sintesi.

Scrive Fernand Braudel: “che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”.

Aggredii il mostro calpestandolo violentemente. L’occhio malefico roteò all’impazzata e il suo lamento metallico mi parve un urlo di resa: per un attimo, per un attimo appena, credetti di averlo sconfitto.

Trattenni l’epa per fissarne meglio l’occhio ancora tremolante sotto i miei piedi: in quel momento mi resi conto che non ero dimagrito nemmeno di un etto.

Afferrai la maniglia: il buio che inondava la stanza fu squarciato dalla luce del frigo aperto e dalle sue promesse. Affanculo la dieta.

LA FAME DI IERI

“La fame atavica del meridione” è la riscrittura intellettuale di un concetto meno elegante ma più efficace: “da sempre i meridionali sono stati dei morti di fame”.

Noi che intellettuali non siamo, ci limitiamo a considerare che le monumentali cucine meridionali odierne si sono generate da contesti storici di fame e i nostri conterranei che quella fame la patirono, meritano un tributo di rispettosa gratitudine.

272279836_461942448764297_5940133522160599958_n

 … vero, ma fino a un certo punto. 👇🏻

Nei ventimila anni prima che nascesse Cristo la Sicilia ha accolto Elimi, Siculi e Sicani.
Poi Greci, Arabi e Spagnoli, Francesi e Normanni.

🔐 Gli apporti gastronomici di tutti questi passaggi costituiscono la più grande ricetta mai composta. La cucina siciliana che conosciamo oggi, ne è la sintesi.

Scrive Fernand Braudel: “che cos’è il Mediterraneo? Mille cose insieme. Non un paesaggio, ma innumerevoli paesaggi. Non un mare, ma un susseguirsi di mari. Non una civiltà, ma una serie di civiltà accatastate le une sulle altre”.

Sono gli unici elementi necessari per ottenere un ingrediente realizzabile solo sotto il 41° parallelo.

☝🏻 Gli emigranti che dal meridione si trasferivano nelle grandi fabbriche ci hanno provato inutilmente: impossibile. Lo “stratto non viene” su al Nord.

Per un kg di strattu servono 30 kg di pomodori, 3 kg di sale e una settimana di solleone.

👀 Lo strattu è sintesi estrema, energia incamerata, asciuttezza arsa. Le mogli degli operai siciliani, trasferitesi a Torino, cominciavano a stenderlo a giugno e fino al 30 luglio ci provavano: niente da fare.

Al Continente non è facile mettere assieme sette giorni di solleone consecutivi. Poi il primo agosto la FIAT chiudeva, la città si zittiva e il concentrato di pomodoro era tutto lì, ancora liquido quando non già ammuffito.

Lo stratto steso al sole davanti alle case faceva parte del panorama urbano siciliano di cinquant’anni fa: andando a scuola si infilava il dito sotto il tulle protettivo, una leccata e via di corsa come razzi, bersagli mobili di qualsiasi oggetto a portata di mano delle legittime titolari.

Qui le altre Gustorie:
https://www.pantalicaranch.com/gustorie/

Come sarebbe oggi la Piana di Catania se gli Arabi non avessero introdotto l’arancio in Sicilia; una distesa di datteri? 🤨👇🏻

🍊 L’arancia è il frutto-simbolo della Sicilia e di esso si utilizza tutto. All’inizio solo ornamento, qualche califfo cominciò a combinarne la polpa con la neve dell’Etna, dando vita all’antenata della granita.

Frutto per ricchi dapprima, e simbolo d’abbondanza: nella Primavera di Botticelli ci sono aranceti a perdita d’occhio.

🌼 È dai fiori d’arancio, la zagara, che si ricava un’acqua aromatica utilizzata per trasformare in armonie certi dolci meridionali quali la cassata siciliana e la pastiera napoletana.

La zagara ha un profumo inebriante e irriproducibile.

☀️ Provate ad attraversare un aranceto in fiore al tramonto e solo allora capirete di cosa sto parlando: un’esperienza simile a una sbornia olfattiva.

 Pare che il cannolo siciliano sia stato creato in una antica casa di piacere, più precisamente in un harem saraceno durante la dominazione araba, dalle parti dell’attuale Caltanissetta, nota come Kalt el Nissa, ovvero Città delle donne.

🙏🏻 Conclusa la dominazione araba, gli harem vengono chiusi, molte donne si convertono al Cristianesimo ed entrano nei conventi, portandosi dietro culture e abilità precedentemente acquisite.

👉🏻 Forse per questo l’origine del cannolo si fa risalire anche alle monache di clausura: si rinvengono anche interpretazioni più malevole.

Giuseppe Coria, noto storico-gastronomo siciliano, nel cannolo intravede un inequivocabile simbolo fallico. E anche se fosse? Non è solo l’amor cortese fonte d’ispirazione e di godimento.

🔑 | L’arancino è la storia della Sicilia fatta a polpetta, delle tante dominazioni 👇🏻

Lo zafferano arabo, il ragù francese, il pomodoro spagnolo. Per non parlare del riso, portato dai crociati di ritorno dalla Terra Santa.

☝🏻 Pare che la panatura sia stata pensata per consentire a Federico II di portarseli a caccia.

I monaci, attenti alla cura dello spirito, ma assai anche del corpo, hanno ricomposto tutti questi lasciti in una equilibrata armonia.

 | E sai noi Siciliani cosa vi abbiamo aggiunto? La pazienza, o meglio, la lagnusìa.

È l’ingrediente più importante: l’arancino non va mangiato subito. Ci vuole calma.

Bisogna aspettare che maturi in mano. Lascialo raffreddare qualche minuto ancora e nel prossimo morso non riuscirai più a distinguere i vari elementi. Ne sentirai la sintesi.

In un grumo di riso la storia di un popolo. ❤️

Bastardi

Oggi vogliamo svelarti qualche curiosità sul tipico Fico D’India ☀️

I “bastardi”, o meglio, i “bastardoni”, sono i frutti che si raccolgono in ottobre dopo la cosiddetta scozzolatura, cioè l’eliminazione di parte delle bacche, nel mese di maggio.

👉🏻 In virtù di questa operazione si generano frutti molto più grossi e succulenti.

👀 | A riprova di quanto il fico d’India sia legato – nell’iconografia collettiva – alla Sicilia, si narra di un famoso fotoreporter palermitano il quale, vista la tendenza dei giornali a pubblicare foto di omicidi solo se sullo sfondo si scorgeva un fico d’india, se ne portava sempre uno di cartapesta nel bagagliaio dell’auto, per tirarlo fuori quando arrivava sulla scena del delitto.

“Dici cìciri o t’ammazzo!”

Leggenda vuole che, durante i Vespri siciliani, per riconoscere gli invasori francesi camuffati da Siciliani, i rivoltosi li costringessero a pronunciare la parola cìciri, ceci, che in siciliano si pronuncia all’incirca come cìsciri;

👉🏻 se l’interpellato era uno scagnozzo di Carlo D’Angiò, la risposta sarebbe stata sistematicamente sisirì o kikirì e a quel punto scattava il pugnale contro l’angioino scoperto.

🏛 | L’apparente modestia dei ceci è in contrasto con la sorte di dare il cognome a uno dei più grandi intellettuali dell’antichità romana: pare, infatti, che il nobile casato di Marco Tullio Cicerone derivi proprio da una vistosa verruca a forma di cece che un suo antenato esibiva sul naso.

📍 | Cicerale è un paese della Campania il cui nome, e lo stemma comunale, raccontano il legame con i ceci, importante risorsa di questa zona: terra quae cicera alit, si legge nel blasone di Cicerale, terra che nutre i ceci.

😌 | Dopo tutte queste chiacchiere assaggiate una panella palermitana: non è detto che avvertirete l’eco dell’orgoglio siciliano contro gli Angioini, o delle Epistulae ciceroniane.

Sicuramente vi accorgerete che il gusto rustico della farina di ceci rappresenta degnamente il cibo di strada di Palermo.

Qualcuno s’è preso il gusto di verificare quale sia la più nota ricetta siciliana, scoprendo, pertanto, che la Pasta alla Norma e l’arancino si contendono il primato. 

👉🏻 Pomodoro, basilico, ricotta salata e melanzane: questi gli ingredienti canonici della Pasta alla Norma, riconosciuti dalla tradizione catanese.

Ogni variazione è una bestemmia.

🍆 | Non solo: si fa presto a dire pomodori o melanzane, ma quale pomodoro (costoluto, mai San Marzano!) e quale melanzana (Turca di Acireale), è rigorosamente codificato.

E che dire delle due scuole di pensiero che, sin del 1920, si contrappongono, inneggiando l’una alla ricotta salata infornata, l’altra alla ricotta non infornata, bollandosi a vicenda di eresia?

Noi che gli eretici li abbiamo sempre avuti in simpatia, pensiamo che di una ricetta siano sacre solo la necessità di essere tramandata e la genuinità degli ingredienti, non certo la sua immutabilità. ☀️

🔐 | Il cibo di strada è un’esperienza multisensoriale in cui non solo il palato ma anche l’udito è coinvolto. Da secoli le grida degli ambulanti (abbanniate) sono oggetto di studio.

Scriveva Giuseppe Pitrè: “l’importanza di esse è riposta nel linguaggio eminentemente figurato. Le abbanniate sono quasi sempre incomprensibili per la gente che le ode e comprende, pur senza prestarvi attenzione.”

Quella descritta dal famoso antropologo palermitano non è altro che la dinamica dei moderni messaggi subliminali. Eppure siamo alla fine del 1800.

Il potere di trasformare in oro la materia vile è stato scoperto dai Fenici che, irrequieti viaggiatori, tremila anni fa lo hanno poi esportato in giro per il Mediterraneo: aria, fuoco, acqua e terra sono gli ingredienti da cui i nostri progenitori libanesi riuscirono a ricavare l’oro, più precisamente l’oro bianco. 🤍

🧂 Da sapienti travasi di enormi masse d’acqua marina esposte al sole africano e all’aria secca delle coste siciliane, si generavano cumuli di cristalli abbaglianti, talmente capaci di trasformarsi in oro, che gli avidi sovrani aragonesi, nella Sicilia del Quattrocento, ne fecero oggetto di concessione: bisognerà attendere fino al 1840 per vedere definitivamente abolito l’odioso dazio sul sale.

Ovvero, sua maestà la Polpetta.

E che a nessuno venisse in mente di teorizzare blasfeme similitudini con l’hamburger made in USA. Tra l’una e l’altro c’è lo stesso rapporto esistente tra un abito sartoriale italiano e una sottana in puro poliestere rosa shocking di rito texano.

Ovviamente ci riferiamo alla nostra polpetta, perché solo di essa possiamo rispondere.

Si favoleggia di hamburger che non vanno mai a male, capaci di automummificarsi, data di scadenza 31.12.2034: pare sia possibile in virtù di un impasto di sostanze chimiche in cui si possono rinvenire persino tracce di carne.

Il sapore? Sale, sodio condito. Condito con talmente tanti agenti chimici, che nemmeno le muffe si azzardano a sferrare l’attacco.

E il pane? Come mai anche certe pagnottelle fast food, tradizionali contenitori di hamburger, non induriscono nemmeno dopo un mese? Semplice: alcool! Ce n’è talmente tanto (è un ottimo conservante) che, si narra, basta mangiarne un paio per non superare indenni l’alcool test.

Ora scusateci: noi si torna in cucina ad arrotolare polpette. Lentamente.